24 marzo, Domenica delle Palme

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme nella chiesa orientale viene raffigurato in molte icone: Gesù è a dorso di un asino “quasi da corsa”, che indica la fretta di entrare a Gerusalemme mentre le porte sono chiuse perché i farisei non lo accettano. Il grande rifiuto di Israele nei confronti di Cristo non è tanto perché Gesù si proclama Messia, ma per il modo in cui lo ha fatto: il Messia era atteso, ma come dominatore. Gesù si proclama Messia, ma non di questo mondo: è mite, cavalca un asino in segno di umiltà. Gesù proclama la vittoria sul peccato e sulla morte spogliando se stesso, umiliandosi, passando per il calice della sofferenza e della passione, che però è gloriosa.

La domenica delle Palme è la presentazione di tutto ciò che succederà dopo: da quel momento ogni sofferenza è un piccolo segno che richiama l’ingresso nel regno dei cieli. Per entrare nella gloria si passa attraverso la sofferenza. «Il Figlio dell’uomo doveva soffrire»: si entra nella passione non lamentandosi ma cantando «Osanna al Figlio di Davide». C’è un episodio molto bello, dopo che Gesù è entrato a Gerusalemme: a Betania, viene unto con olio da una donna, che compie un’opera buona: Gesù accetta questo gesto. E’ l’unico atto di amore vero nella settimana di passione. Se Dio è amore, l’inizio della passione deve essere un atto di amore gratuito a Cristo. E’ solo nell’amore che noi possiamo conoscere! Gesù ci conosce in modo perfetto, in quanto Dio; ma nel suo amore, e quindi in un desiderio infinito, la Santissima Trinità ha voluto approfondire la conoscenza di noi in quel modo che la rende unica, cioè nell’esperienza. Ha voluto fare esperienza della nostra condizione umana nel Verbo incarnato: Dio ci conosce da sempre, il Verbo assume la nostra condizione umana per conoscerci “dal di dentro”. Quando Gesù è venuto in mezzo a noi, il suo sguardo, là dove si posava, penetrava “al di dentro”. Ma questo sguardo non gli bastava: ha voluto conoscere la nostra condizione umana fino in fondo. Il suo corpo sulla croce è come una calamita potentissima che ha la forza di attrarre tutti i nostri dolori: non c’è un solo dolore che non sia sotto l’attrazione del suo corpo crocifisso. Noi lo abbiamo massacrato di insulti, di sputi, di bestemmie: il suo corpo ha conosciuto il nostro dolore, schiantandosi a terra. Sul suo capo il nardo dell’unzione di Betania ha ingaggiato una battaglia per sovrastare l’odore acro del sangue e degli sputi. Questa è stata la sua conoscenza di noi: fino a questo amore.

E’ accaduto sulla croce che la sua conoscenza di noi non era solo un fatto di solidarietà come se portasse un nostro peso, come facciamo noi con la nostra carità, che è un semplice donare una piccola parte del nostro superfluo. Lui ci ha amato fino a immedesimarsi con il nostro peccato, fino a diventare “maledizione che pende dal legno”. E il Padre lo guardava e vedeva il Figlio amato talmente carico di peccato, da riconoscere in lui la somma del nostro peccato, non solo sperimentando il dolore fisico nel corpo ma con un dolore più acuto: la conseguenza del nostro peccato, il sentimento più estraneo al suo cuore. In quest’ora dove i suoi occhi non vedono più il Padre, proprio in quel punto ha portato la sua obbedienza di Figlio e ha guarito il nostro peccato, ha sconfitto la nostra morte, ha ristabilito quella relazione con il Padre che noi pensavamo di aver perso per sempre, se Lui non fosse venuto a restituirci la dignità di figli. Chi l’ha crocifisso pensava di eseguire una condanna, ma quel suo salire sulla croce da re, c’era la manifestazione piena del suo amore per noi, sua libera scelta per recuperarci, per riportare il desiderio originario che ci voleva in comunione con Dio fino al compimento. Noi cosa possiamo fare? Invocarlo, conoscendo la potenza di questo amore per noi, adorare la sua croce per nutrirci di quel pane che ci ha dato come cibo per sostenere il nostro cammino alla sua sequela. Tutto quello che viene proclamato ci fa comprendere che l’amore di Dio si manifesta grande e potente proprio nell’impotenza della croce e ci aiuta a vincere, a nostra volta, il male con il bene.

Di fronte a una piccola offesa, a una parola che ci mortifica, a uno sgarbo, proviamo a pensare che Gesù ha sopportato tutto questo e molto di più, e che il suo itinerario verso il Calvario viene percorso nella più totale solitudine. Nonostante tutto, Gesù rimane fedele alla volontà del Padre fino alla morte. Vivere la Passione di Gesù oggi significa vivere bene la nostra vita, assumere tutte le croci della nostra esistenza con Gesù, per amore suo e del Padre e per amore dei nostri fratelli. Allora sperimentiamo che la Settimana Santa porta già il sigillo della Pasqua e ci fa gustare in anticipo il frutto gioioso dell’eternità.

don Lorenzo Montini

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