Osservatorio 28-1 / Mustafa

La foto del piccolo Mustafa, il bambino siriano innalzato dalle braccia del papà, che ha vinto il premio fotografico a Siena consentendogli di venire in Italia con la sua famiglia per essere curato… è un “pugno nello stomaco”. Non fraintendiamo, un “pugno nello stomaco” non perché è brutta, ma al contrario perché dice molto di più della stessa immagine fotografica. Un “pugno nello stomaco” ai nostri “capricci”, un “pugno nello stomaco” alle nostre lamentele, alle nostre pretese, ai nostri schemi, allo steso modo di vivere la nostra vita.

Un “pugno nello stomaco” quando non siamo contenti, quando ci lamentiamo perché non possiamo andare al mare, quando abbiamo paura di perdere le nostre abitudini, quando ci annoiamo, quando sembra che ci manchi la terra sotto i piedi… Un “pugno nello stomaco” non per le braccia e le gambe che non ci sono, ma per il sorriso di quel bambino, la sua gioia di vivere, la sua gioia di essere tra le braccia del papà. Un sorriso e una gioia di vivere che emanano tutta la spontaneità di quel bambino, tutta la sua felicità di essere al mondo e di condividere con tutti questa sua gioia e il suo stupore. Per questo secondo noi questa foto dovrebbe essere tema di lezione a scuola, non certo per spiegare la tecnica fotografica, ma per scuotere le menti di tanti adolescenti oggi annoiati, di giovani che cercano lo sballo per trovare emozioni, di persone che non sanno più cosa è un sorriso.

La gioia di Mustafa apre alla vita, al mondo, abbraccia l’umanità intera. Non sa niente del mondo, finora aveva solo incontrato armi e violenze… non aveva nemmeno fatto in tempo per rendersi conto che non aveva le braccia e le gambe. Mustafa è venuto dalla martoriata Siria in Italia, passando per il dramma della guerra e non ha semplicemente visto la felicità, ma l’- ha portata, con i suoi occhi carichi di sorprese, con la gioia di essere con i suoi genitori, con quel sorriso che ci ha coinvolto e provocato. Si, è la foto dell’anno quella di Mustafa, ma il suo “negativo” ci fa guardare la foto di una società non più capace di sorridere, di aprirsi alla vita, di ritrovare la sorpresa nelle piccole cose. Guardiamola spesso quella foto, soprattutto quando ci lamentiamo, non per dire “c’è gente che sta peggio di noi”… al contrario, “c’è gente che sta meglio di noi” con tante cose da insegnarci. da insegnarci.

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