Elezioni 2022 / Voto libero solo in apparenza

Attenti al pericolo democratico. No, non Giorgia Meloni e il successo di Fratelli d’Italia, che anzi è il segnale che gli elettori hanno la possibilità di decidere almeno l’orientamento politico del Paese. Ai più attenti osservatori nazionali e internazionali, che anche in queste ore sono preoccupati dalla nascita del governo Meloni, «il primo ministro più a destra dai tempi di Mussolini» come ha titolato la Cnn, è sfuggito che l’Italia già ieri poteva essere considerata “illiberale”, se con tale espressione intendiamo un sistema politico in contrasto con i principi dello stato liberale – non alludendo con questo termine alla forma istituzionale assunta dal Regno d’Italia dalla sua fondazione al 1922 – ovvero divisione dei poteri, rappresentanza, tutela dei diritti.

SOVRAPPOSIZIONI Partendo dalla prima, la pandemia, l’attuazione del Pnrr, la guerra in Ucraina, ma anche semplicemente la necessità di approvare la legge finanziaria ogni anno vedono da un lato il Governo prevaricare le prerogative del Parlamento e dall’altro quest’ultimo incapace di tenere i ritmi delle crisi internazionali o anche solo della vita civile nell’era della digitalizzazione.

Il potere esecutivo, costretto a fornire risposte nei tempi che le crisi e l’amministrazione di una nazione richiedono – visto che, come affermava Keynes, «nel lungo periodo siamo tutti morti» – sempre più ha fatto ricorso alla decretazione “d’urgenza”,

tra cui rientrano i famosi “Dpcm”, ormai divenuta “di contingenza”, di fatto esercitando anche il potere legislativo. Tutto nei limiti e nelle forme previste dalla Costituzione, in particolare il riferimento è agli articoli 70 e 77, attraverso gli strumenti del decreto legge e della delega del Parlamento al Governo, ma di certo non più col carattere di eccezionalità a cui la Carta fa riferimento, anzi sempre più in maniera strutturale. Del resto il tempo medio di approvazione di una legge è pari a 237 giorni (fonte: Openpolis):

quale sfida di quelle che l’Italia ha affrontato negli ultimi due anni avrebbe potuto aspettare otto mesi per ricevere una risposta normativa?

Si tratta forse dell’aspetto in cui più si coglie il passaggio del tempo tra oggi e il 1948; sarà anche «la Costituzione più bella del mondo», ma l’estetica non è un criterio utile a valutare l’efficacia politica e lo stesso testo, all’articolo 138, stabilisce le regole per modificarla. A partire da una riflessione sulle due Camere, soprattutto considerando che è caduto il discrimine dei 25 anni per il voto al Senato e che dunque lo stesso corpo elettorale ha votato per entrambi i rami.

…WITHOUT REPRESANTATION Senza voler scatenare una rivoluzione, l’Italia oggi conosce un deficit di rappresentanza. Non tanto perché alle urne si sono presentati meno di due terzi degli elettori – la rinuncia all’esercizio di un diritto è anch’essa una decisione politica – quanto per le regole con cui è stato costituito il nuovo Parlamento.

La combinazione tra l’attuale legge elettorale e la riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari ha prodotto effetti distorsivi,

a partire dal fatto di avere un deputato ogni 150mila cittadini e un senatore ogni 300mila (ma in alcuni collegi la forbice è anche più ampia): se già così è difficile immaginare un rapporto diretto tra rappresentanti e rappresentati, diventa quasi impossibile ricordandosi che l’elezione non è legata al territorio in cui si concorre, ma al collegio e alla posizione assegnati al candidato dal segretario di partito. Infatti non è previsto un voto di preferenza e dunque i listini sono bloccati, l’elettore può solo approvarli o respingerli in toto (ma qui a nessuno viene in mente di scomodare la legge Acerbo o quella, più simile, con cui nel 1928 gli italiani si trovarono un’unica lista da approvare o respingere così com’era), con l’aggiunta che nelle circoscrizioni, ancor di più dopo la decurtazione degli eletti provocata da una riforma “anticasta” che ha reso la “casta” ancora più casta, i risultati sono prevedibili a priori sulla base dell’orientamento storico dei territori e dei sondaggi. Nella maggior parte dei casi un candidato insomma sa già se sarà eletto o meno, come ha esplicitato con sincerità il dem Alan Ferrari commentando la sua collocazione nel plurinominale di Pavia.

CONTRO-CORRENTE Con un ulteriore effetto distorsivo, perché se l’accesso al Parlamento è legato esclusivamente alla posizione scelta dal segretario, è evidente quanto conti la “fedeltà” al leader: dopo la clamorosa sconfitta le segreterie di Letta e Salvini in uno scenario collegato alla realtà dovrebbero avere i giorni contati, ma anche se ci dovesse essere un cambio della guardia (e nella Lega al momento pare escluso) i nuovi segretari dovranno fare i conti per 5 anni con deputati e senatori scelti dai loro predecessori, un problema che conosce molto bene lo stesso Letta, il quale si è trovato a mediare con i gruppi parlamentari selezionati da Matteo Renzi, nel frattempo fuoriuscito dal partito. E infatti in questa tornata ha infarcito le liste di fedelissimi ed epurato quelli che in passato erano stati troppo vicini all’ex rottamatore.

OMAGGIO FEUDALE In questo contesto in merito all’accesso effettivo e paritario di ogni cittadino ai diritti civili e politici è superfluo argomentare. Un campanello d’allarme per la tenuta del tessuto socio-economico nazionale è il successo della campagna del Movimento 5 Stelle, che ha incentrato il programma sul mantenimento del reddito di cittadinanza come strumento di esclusiva natura assistenziale e non incentivo all’occupazione, un obiettivo che si può considerare già raggiunto.

In conclusione, l’Italia è ancora un paese democratico? Con una rappresentatività in crisi, la convergenza di potere esecutivo e legislativo, la difficoltà di esercitare appieno i propri diritti, la sovranità appartiene ancora al popolo?

I connotati che il sistema politico nostrano sta assumendo sempre più sono quelli di un’oligarchia, in cui gli “aristòs” da tempo sono diventati semplicemente “oligòs”; anche il consenso fluido che gli elettori accordano alle leadership non appare come un segno di vitalità, piuttosto la rapidità con cui si passa dal sostegno a una forza politica e a un leader ad altri sembra un ulteriore sintomo, quasi il passaggio dall’elezione all’acclamazione.

Giuseppe Del Signore

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