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Nessuna soluzione nell’immediato e un’assenza pesante, quella degli imprenditori della città. Se non altro il consiglio comunale aperto dello scorso giovedì, richiesto dai sindacati e convocato dall’amministrazione in seguito agli annunciati licenziamenti in casa Moreschi, ha riacceso i riflettori sulla crisi del comparto calzaturiero vigevanese. Un tema che sarà affrontato in un tavolo, convocato per il prossimo 27 marzo dal presidente della provincia di Pavia Giovanni Palli e da Assolombarda, che vedrà la partecipazione di tutte le parti sociali interessate: politici, associazioni di categoria, sindacati, che proveranno a elaborare una strategia comune che non si fermi ai confini della città ducale, ma allargata a tutto il territorio lombardo.
POCHE RISPOSTE L’annuncio non ha fatto spellare le mani ai lavoratori di Moreschi presenti (anche perché applaudire era vietato dal regolamento, come ha più volte ricordato un inflessibile Claudio Vese, presidente del consiglio): le pianificazioni territoriali per loro sono probabilmente secondarie rispetto alla possibilità di pagare o meno le bollette. Dalla politica locale, sindaco Andrea Ceffa in primis, sono arrivate solidarietà unanime e la conferma che l’area occupata dallo stabilimento di Moreschi nel nuovo Pgt rimarrà esclusivamente a uso industriale. Il vicesindaco Marzia Segù ha ricordato i servizi attivi in Comune (Sil, Servizio di integrazione lavorativa, e Sol, Spazio orientamento lavorativo) per riqualificarsi a livello occupazionale, quasi un invito a guardare oltre. Intanto in casa Moreschi la situazione continua a essere incerta. A lunedì ancora non erano stati corrisposti gli stipendi di febbraio:
Antonio Palmieri, portavoce della proprietà, sostiene che ci siano problemi tecnici, ma non ci dice quali – racconta Marina Ponta, sindacalista Cgil – venerdì abbiamo avuto un incontro con l’azienda per chiedere ancora di mantenere la produzione, ma su questo c’è chiusura totale. Sul resto, le risposte non arrivano.
BOOM TOWN Quanto sta accadendo da Moreschi è il simbolo di un giocattolo che si è rotto da tempo. Giovedì sera a indicare l’elefante nella stanza (o meglio, la sua assenza: Assolombarda era collegata solo a distanza) è stato Luca Bellazzi, capogruppo del Polo Laico: «Mi chiedo perché un consiglio comunale aperto ora e non 30 anni fa. Dove sono gli imprenditori stasera? Un consiglio aperto dove manca una parte è monco». Il consigliere ha sottolineato anche la mancanza di innovazione nel settore calzaturiero: un parere un po’ tranchant, ma che forse trova riscontri nella rombante storia ducale del Dopoguerra. Il 12 marzo 1969, sul quotidiano La Stampa, l’allora inviato Gianpaolo Pansa tratteggiava una Vigevano con una
crescita da città del West con migliaia di facce nuove che arrivavano dal Veneto e dal Sud a cercar l’oro nelle scarpe.
Tema del suo servizio la paradossale situazione della media Besozzi, “distrutta” ogni estate per far spazio alle fiere della calzatura e ricostruita ogni autunno, paradigma di una città cresciuta senza pianificazione, seguendo il flusso dell’adesso: una pianificazione che, a quanto pare, è mancata anche negli anni successivi, quando il filone d’oro della scarpa andava esaurendosi, ma lo sguardo continuava a indugiare sulle poche pagliuzze rimaste appiccicate alle suole.
Alessio Facciolo