Il racconto di Natale / Luce nella notte

La macchina si era fermata proprio davanti alla chiesa, un attimo prima che Demetrio girasse la chiave per spegnere il motore. «Batteria andata», pensò amaramente. Proprio nell’unico punto in cui non avrebbe voluto trovarsi, in quella fredda notte in cui tutto gli ricordava la stramaledetta festa di un anno prima, quando Luisa se n’era andata di casa. Da quel momento aveva odiato il Natale con tutte le sue forze, sperando che dopo 365 giorni non ce ne sarebbe stato un altro peggiore. Invece, evidentemente, non doveva essere così. Quella vigilia, se lo sentiva, sarebbe stata la più brutta di tutta la sua vita. Un dolore che sembrava scomparso e tornava invece puntuale come la morte, poteva essere anche più terribile della prima volta.

Si era trascinato dentro la chiesa quasi come in un sogno, sperando di svegliarsi presto e domandandosi cosa lo avesse spinto a oltrepassare il portone, visto che aveva accostato l’auto al marciapiede semplicemente per andare a bere qualcosa di forte al bar, spendendo gli ultimi spiccioli. Il suo lavoro d’insegnante di musica non stava andando affatto bene, con lo stipendio in arretrato di due mesi.

Sembrava davvero qualcosa di irreale, quella visione di un ambiente oscuro in cui la solidità delle colonne lottava contro lo slancio delle arcate che le sovrastavano, tendendo a loro volta verso un cielo che non era possibile vedere se non attraverso il filtro multicolore delle vetrate gotiche, popolate da santi e demoni, vergini e dragoni. Eppure, proprio per quel contrasto, Demetrio temeva che un risveglio fosse impossibile. Troppo conflitto, poca coerenza: proprio come nella vita vera.

Una volta dentro il mistero di quella chiesa che pareva fare di tutto per respingerlo, la sua attenzione fu attirata da una massa grigia che si muoveva velocemente tra i banchi e gli altari sul lato destro.

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Un gatto. Demetrio lo seguì con lo sguardo, voltandosi verso l’entrata che si era appena lasciata alle spalle, e lo vide sparire in un angolo accanto all’entrata laterale. Una porta socchiusa conduceva a una scaletta a chiocciola per il piano superiore, dove un grande organo a canne sovrastava l’ingresso, dietro a una balconata che copriva l’intera larghezza dell’edificio. Demetrio oltrepassò l’uscio e salì per la scala di legno scricchiolante raggiungendo l’imponente strumento, simile a tanti altri che aveva suonato per diversi anni, quando ancora frequentava le funzioni religiose. Aveva smesso di andare in chiesa esattamente un anno prima, quando Luisa se n’era andata dopo l’ennesimo litigio, trasferendosi in un’altra città una cinquantina di chilometri più a nord.

L’organo era stupendo, e si estendeva in tutta la sua maestosità sia in larghezza che in altezza, con tre tastiere e una grande pedaliera. Accanto ad essa, il gatto attendeva, guardando verso di lui. Sembrava aspettare proprio Demetrio, perché quando egli gli si fu avvicinato, la bestiola allungò una zampa sul pavimento, verso un triangolo di carta bianca che spuntava da sotto la massa dello strumento. Non appena egli l’ebbe raggiunto, il micio si allontanò rapidamente.

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Demetrio si chinò e prese il foglio con due dita, togliendolo da sotto all’organo. Era una carta da musica ingiallita dal tempo, in formato 30 per 40, con una serie di note che riempivano gli spazi e le righe dei pentagrammi. Un brano musicale senza il nome dell’autore, con un titolo in alto a sinistra.

C’è una luce questa notte che illumina la strada verso casa

Casa. Una parola che per lui, nel giro di un anno, aveva assunto un solo significato: qualcosa di vuoto, dove una volta si respirava il tepore d’inverno, e le pareti erano illuminate da qualcosa di più della semplice luce del sole.

Ora quel sole era tramontato. Luisa. Maledizione a lei e alla luce che si era portata dietro.

Demetrio sedette sulla panca di legno davanti alle tastiere e mise il foglio sul leggio porta-spartiti.

Poi premette un pulsante quadrato sul lato destro della consolle, azionò i registri corrispondenti ai suoni più lievi e iniziò a suonare, leggendo le note perfettamente rotonde, tracciate da una grafia precisa e pulita.

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Il suono morbido, che seppure in modo artificiale riproduceva quello dei flauti e degli archi, si espanse intorno a lui, echeggiando lungo le volte che chiudevano le solide colonne slanciate verso l’alto, e facendo vibrare lievemente le vetrate che davano sull’esterno.

Una strada che portava verso casa, si leggeva sullo spartito. Ma qual era, si chiese, la sua?

La musica procedeva una nota dietro l’altra, con una successione di accordi lenti e solenni. Demetrio si concentrò sul brano, assaporandone la qualità della composizione. Era un tipico inno religioso, con l’andamento di una processione e una linea melodica sorretta da una sequenza armonica in tono minore. Arrivato all’ultima nota, Demetrio si fermò, constatando che il brano si interrompeva bruscamente. Senza pensarci troppo, proseguì con una serie di note che terminavano la prima parte del ritornello, per poi ricongiungersi all’inizio del tema principale. Si frugò in tasca in cerca di una penna, poi vide una matita in un angolo della consolle, accanto ai registri di destra. La prese e aggiunse alcune note allo spartito, trascrivendo l’aggiunta che aveva appena eseguito sulla tastiera. Poi posò la matita sulla base del poggia-spartiti e riprese a suonare, terminando il brano con una parte conclusiva che passava a una tonalità maggiore, in modo da comunicare un senso di sollievo perfettamente in tema col titolo del brano. Dopotutto, pensò, se c’è una luce che illumina la strada verso casa, facciamola brillare. Riprese la matita, e segnò il resto della melodia e degli accordi sul foglio.

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Aveva quasi terminato la trascrizione, quando udì una voce alle proprie spalle.

«Che bravo. Perché non viene a suonare nel nostro coro?»

Voltandosi sulla panca di legno, scorse una figura femminile nella penombra, accanto alla porticina che dava sulle scale dalle quali era salito. Era una piccola suora vestita di grigio.

«Mi scusi. – disse lui – Ho trovato questo spartito per terra e non ho resistito alla curiosità».

«Non deve scusarsi. – replicò la donna, avanzando verso l’organo – E’ molto bravo, sa? Guardi che non scherzavo. Abbiamo bisogno di un organista. Io sono suor Maria».

Demetrio si strinse nelle spalle: «Sono un po’ lontano dalla chiesa, sorella». In tutti i sensi, pensò.

La suora ricambiò il sorriso: dimostrava una trentina d’anni e aveva un volto minuto, reso luminoso da grandi occhi celesti, con un ciuffo di capelli castani che spuntava sulla fronte da sotto il velo.

«Non vuole solo dire che abita lontano di qui, vero?», gli chiese.

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Demetrio abbassò lo sguardo. «È una lunga storia», disse. Era perspicace, la ragazza.

«Mi farebbe riascoltare il brano che stava suonando?», gli venne in aiuto lei, cambiando argomento.

Demetrio riprese a suonare. Le vetrate della chiesa iniziarono nuovamente a tremare sotto le vibrazioni delle imponenti canne d’organo, e a un certo punto egli si accorse di non star nemmeno più guardando lo spartito. O meglio, lo stava osservando ma ciò che vedeva non erano semplici segni musicali. Era come se stessero scorrendo le immagini di un film. Un uomo solo nella notte, le luci di un’auto. Una donna dall’altra parte della città, un’auto che attraversava le strade fredde e buie.

Le sue dita snelle e affusolate correvano agili sulla tastiera, suonando quelle note che gridavano da sole, senza bisogno di parole, se non di quelle del titolo scritto in cima allo spartito. C’è una luce questa notte che illumina la strada verso casa.

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Tutti, quella notte, tornavano a casa. Tutti tranne lui, che voleva semplicemente spendere gli ultimi spiccioli in un bar. Per bere qualcosa che gli desse un po’ di calore. E invece era finito in una chiesa, per di più con l’auto inutilizzabile.

Non sarebbe tornato a casa, quella notte: abitava dall’altra parte della città, e chissà quando sarebbe passato l’ultimo autobus. Magari avrebbe dormito lì, vicino all’organo, se nessuno avesse fatto caso a lui. Questo era impossibile, si disse però mentre continuava a suonare. Ormai l’avevano sentito tutti. E quella suorina, anzi, adesso l’aveva anche visto.

«Torniamo tutti a casa. Tutti. Ci deve credere, sa?», gli stava dicendo lei.

La musica era quasi finita, e così pure le immagini su quello spartito che sembrava uno schermo improvvisato. Già, pensò, tutti tornano a casa. E la vita continua. La gente muore, si lascia e se ne va. Chi muore non ritorna, ma chi resta si abitua. E chi se ne va semplicemente di casa, a volte ritorna. Suor Maria se n’era andata, ma la sua voce risuonava ancora tra le arcate, e a Demetrio parve di sentirla nella propria mente. Tutti tornano a casa. Tutti.

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Stava richiudendo il coperchio a scorrimento della tastiera, quando qualcun altro parlò.

«Ha suonato un brano bellissimo. Ma dove l’ha trovato?»

Accanto alla balaustra c’era un prete anziano, con folti capelli bianchi e un sorriso furbesco a metà strada tra quello di un ragazzino e di uno gnomo.

«Il foglio era sotto l’organo, ne sporgeva un pezzo».

Il sacerdote si avvicinò, allungò una mano rugosa e tremolante verso lo spartito, lesse il titolo.

Poi sorrise, e a Demetrio parve di scorgere una lacrima che gli brillava all’angolo di un occhio. «Dovevamo far festa, perché era perduto, e l’abbiamo ritrovato», disse il parroco.

«Come, scusi?»

«E’ un brano del Vangelo, l’ultima parte della parabola del figliol prodigo. Un giovane scapestrato che spende tutti i suoi averi nel modo peggiore, si rovina e poi torna a casa umiliato, pronto alla punizione. E il padre invece lo accoglie a braccia aperte».

Demetrio si alzò dalla panca, dirigendosi verso la porta. Basta, l’avevano scoperto. Tramontava definitivamente la possibilità di dormire in chiesa. Pazienza, avrebbe passato la notte in macchina.

«Stavo pensando anche a questa musica. – continuò il parroco – L’aveva scritta suor Luce, la nostra organista, senza riuscire a terminarla. Stava componendo il brano seduta qui all’organo, quando è morta. Il cuore debole, povera stella: così giovane… Il Signore se l’è portata via proprio un anno fa, nella notte di Natale. Non abbiamo mai più trovato lo spartito sul quale stava lavorando. Fino a questa sera».

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Suor Luce. Demetrio si ritrovò a scendere la scala che portava di sotto, mentre il prete gli trotterellava dietro.

«Si vede che il foglio è scivolato sotto la pedaliera, e lì è rimasto per tutto questo tempo. E lei, caro amico, lei l’ha ritrovato. Guardi, voglio farle un regalo per ringraziarla».

Il sacerdote aveva aperto una porta che conduceva probabilmente alla canonica, riemergendone pochi istanti dopo con un enorme cesto pieno di prodotti alimentari. Zampone, lenticchie, spaghetti, salame, formaggio, vino spumante, dolci, datteri.

«Grazie, è molto gentile. – Demetrio, che non faceva un pasto completo da due giorni, quasi non credeva ai propri occhi – Come ha detto che si chiamava quella suora?», chiese.

In quel momento suonò il cellulare che teneva in una tasca del cappotto.

Era Luisa.

«Demetrio, ho sentito la musica. Eri tu, vero? Stavi suonando in una chiesa, e suonavi per me. Sto tornando, Demetrio. Sto tornando a casa. Perdonami se ti ho lasciato, avevo perso la speranza. Ma ora l’ho ritrovata grazie a quella musica. Io lo so che mi stavi chiamando, che suonavi per me. Sto arrivando, caro. Torno a casa, aspettami».

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Demetrio riattaccò. Stava ancora pensando come avesse fatto Luisa a sentire la musica dell’organo, abitando a una distanza di cinquanta chilometri, quando la voce del sacerdote lo destò dalle sue riflessioni.

Suor Luce. Si chiamava suor Maria Luce, per l’esattezza

Demetrio ripensò al titolo del brano. «C’è una luce questa notte che illumina la strada verso casa».

Si avviò verso l’auto e caricò il cesto all’interno. Poi si ricordò della batteria scarica e chinò il capo, sconsolato. Ma in quella notte, pensò, poteva succedere di tutto.

Infilò la chiave nella serratura e la girò. Il motore si accese, rombando alla grande.

Demetrio pensò a Luisa, guardando il manto scuro del cielo che si apriva sotto la luce dei fari.

Poi gli tornò in mente la piccola suora nella penombra della chiesa, e sorrise. Qualcun altro, quella notte, stava tornando finalmente a casa.

Davide Zardo

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