7 aprile, seconda domenica di Pasqua

«Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa». Si apre con questa immagine famigliare una delle scene centrali che il Vangelo ci propone in questa Ottava di Pasqua, tradizionalmente chiamata “in Albis”, per l’antica prassi legata alla veste bianca dei neo-battezzati, e più recentemente “Domenica della Divina Misericordia” per volere di san Giovanni Paolo II.

C’è un legame strettissimo con la grande solennità vissuta la scorsa settimana. La Chiesa tutta, rappresentata dagli apostoli, è ancora avvolta dalla gioia e dallo stupore per la resurrezione del suo Signore e sente il bisogno di ritornare là dove tutto è iniziato, là dove le donne hanno annunciato la notizia sconvolgente della tomba vuota e là dove lo stesso Cristo «stette in mezzo e disse loro: Pace a voi!». Quella “casa” di cui parla il Vangelo è il Cenacolo dello “spezzare il pane” e il “luogo” della discesa dello Spirito nel giorno di Pentecoste. È la stanza dove gli apostoli, insieme con Maria, persevereranno in preghiera dopo l’Ascensione in attesa del Paraclito. È la culla della prima Comunità credente.

E c’è qui una prima indicazione di quel “restare” nel mistero pasquale cui la liturgia ci ha invitati in questi “otto giorni”. Per fare esperienza del Risorto è necessaria la perseveranza nella ricerca dell’incontro con lui, attraverso la comunione con i fratelli. Ne è prova l’episodio di Tommaso che la pericope ci narra. Assente la sera della Pasqua, egli non può beneficiare dell’incontro con il Maestro e il racconto dei compagni non gli basta per sentire il cuore “ardere” come ai due della strada per Emmaus. Sente il bisogno di toccare con mano, di vedere di persona e, per poterlo fare, deve “stare” con i dieci nell’agape della cena condivisa. L’incontro con Cristo, che lo porta a esclamare commosso «mio Signore e mio Dio», è stato per troppo tempo stigmatizzato come l’esperienza di un incredulo che ha bisogno di prove per fidarsi, rimproverata da Gesù con quel

beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno.

In realtà è l’icona di ogni esperienza credente, anche della nostra. Infatti chiunque voglia incontrare il Risorto e percepire la sua presenza ha bisogno di una Comunità che si raduna perché Egli «sia in mezzo a loro». Credere senza vedere significa allora riconoscere quella misteriosa manifestazione del Signore che si realizza in ogni assemblea eucaristica. Lì, pur non vedendo fisicamente Cristo, siamo invitati a credere e incontrare la misericordia che nasce dalle sue ferite e dal suo costato. Nella vita nuova che da Lui comincia, anche noi siamo coinvolti, riscoprendo e rinnovando ogni volta quel battesimo che ci ha immersi nell’amore di Dio, concretizzato ogni giorno nell’obbedienza dei comandamenti e nell’attenzione al prossimo, come ci ricorda Giovanni nella seconda lettura. Ecco spiegata la ragione della perseveranza degli apostoli nello spezzare il pane e nella condivisione fraterna, presentata dagli Atti. Il bisogno di incontrare il Risorto è stimolo a celebrare, testimoniare e quindi annunciare l’offerta che Cristo fa a ogni uomo di “toccare con mano” la verità della sua salvezza.

don Carlo Cattaneo

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