In carcere c’è speranza: la direttrice Marino racconta la vita da reclusi

Carenza di organico, carichi di lavoro pesanti e figure qualificate che sono diminuite nel corso degli anni sono i principali problemi che riguardano da vicino le carceri italiane. E’ questo il quadro delineato da Rosalia Marino, da giugno 2023 direttrice della casa di reclusione di Vigevano e reggente alla casa circondariale di Novara.

COORDINAMENTO Un ruolo che, per mandato istituzionale, impone di «assicurare il mantenimento dell’ordine e della sicurezza senza mai perdere di vista il trattamento e la rieducazione del condannato». Secondo Marino «significa decidere quotidianamente di diritti fondamentali della vita di un uomo, ma sempre nella consapevolezza delle finalità e delle conseguenze delle proprie decisioni, che il più delle volte toccano i valori dell’uomo, l’animo, la sua intimità. Decidere usando la testa ma anche il cuore, avendo occhi limpidi per osservare e soprattutto un buon udito per ascoltare».

DISAGIO Soprattutto perché all’interno della struttura convivono «persone diverse per cultura, lingua, religione, tradizione, etica, morale» e occorre «costruire una comunicazione tra uomini “reclusi”, costretti a dividersi spazi di libertà in un luogo ove la privazione della libertà è una condizione di vita». Per questo possono esserci situazioni di disagio sia per i detenuti sia per il personale, che esercita a diretto contatto con i primi: «Quello del carcere è un ambiente complicato – evidenzia Marino – ci sono pochi medici, educatori, e agenti penitenziari. Si registrano tanti disagi ai quali è difficile far fronte, vista l’insufficienza di personale qualificato che possa operare in questa realtà. Mancano psicologi e criminologi».

VIGEVANO A Vigevano, pur non registrandosi una condizione di allarme legata al sovraffollamento, la situazione è al limite: «Abbiamo 368 detenuti, dei quali 80 donne, su una capienza della struttura di oltre 400. Non siamo ancora in emergenza questo è vero, ma comunque, numeri alla mano, siamo pieni. Ci sono 6 sezioni maschili, di cui una di media sicurezza, e due femminili, di cui una di Alta sicurezza “AS3”». I problemi «sono per lo più simili a quelle di altri istituti penitenziari: grave carenza di personale della polizia penitenziaria, carenza di esperti ex art. 80, criticità per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e soprattutto psichiatrica, sovraffollamento, aumento di detenuti stranieri, aumento di detenuti portatori di varie patologie, gravissime criticità strutturali». Senza dimenticare chi potrebbe avere accesso a pene alternative al carcere e non vivere quindi una dimensione così impegnativa: «Oggi in Italia circa 1.500 persone hanno una pena inferiore a un anno, oltre 4.000 quelli con una pena inferiore a due anni. In totale quindi oltre 5.000 persone». La valutazione di Marino, da tecnico, è netta perché

il carcere dovrebbe davvero essere “extrema ratio” riservato a pochi, ai reati più gravi, affinché il tempo carcere e quindi la pena possa davvero essere rieducativa. Bisognerebbe trovare strutture che siano in grado di occuparsi e di curare i detenuti tossicodipendenti e con problemi psichiatrici perché il carcere non ha le competenze necessarie in questo ambito.

RIEDUCAZIONE Anche alla luce di questo la struttura di Vigevano cerca di coinvolgere i detenuti in quante più attività possibili: all’interno della casa di reclusione di via Gravellona «organizziamo corsi di alfabetizzazione, visto anche il gran numero di extracomunitari. Proponiamo progetti lavorativi, tra i quali una collaborazione con una cooperativa di Bollate che prevede corsi di call center. I detenuti sentono la necessità di lavorare e di inviare una parte del guadagno alle loro famiglie. Si tengono attività teatrali con Mimmo Sorrentino, collaborazioni continuative con gli istituti scolastici superiori, ai quali i detenuti rispondono in modo particolarmente attivo. Con il cantante Ron stiamo svolgendo un corso di musica. Le iniziative non mancano». I detenuti possono anche frequentare la sezione carceraria dell’istituto Casale e conseguire il diploma.

SUICIDI Costruire una «rete all’interno e all’esterno», perché il contesto difficile alla lunga può portare a una forma di malessere più importante e a veri e propri casi di depressione o di patologie psichiche che, se non capiti e affrontati, possono indurre al suicidio: «Le forme di fragilità sono molteplici e purtroppo mancano le figure che possano coglierle in pieno. Il detenuto non è il reato che ha commesso, ma è una persona alla quale si deve prestare attenzione. Si stanno studiando soluzioni concentrate nei confronti di persone affette da tossicodipendenza, ma dovrebbero scontare la pena in strutture che le possano aiutare, come le Rems». Si tratta delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, istituti sanitari dedicati ai ristretti con disturbi mentali certificati, per cui ci sono liste d’attesa di diversi mesi.

CARENZA SANITARIA Il quadro descritto da Marino non è dei più rosei, soprattutto se si considera che l’articolo 27 della Costituzione prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». A gravare però sull’assistenza sanitaria all’interno delle carceri sono soprattutto la consistente carenza di personale sanitario di formazione specifica e le difficoltà operative per il personale infermieristico. «Il problema – sottolinea la direttrice della casa di reclusione di Vigevano – è iniziato a sorgere dal momento in cui la medicina è passata alle Asl. Il risultato è stato un continuo turnover di medici e infermieri, carenza di psichiatri e il fatto che non ci fosse praticamente più nessuno in grado di far fronte alle varie forme di disagio psichico che colpiscono i detenuti».

Edoardo Varese

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