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I sintomi sono indice dell’invisibile malattia che appesta un corpo. Che questo sia un corpo biologico o sociale poco importa. E non si tratta di “malato immaginario”, ma di malattia reale, diffusa e contagiosa, tanto che il comitato per le Settimane Sociali indica ai cattolici in Italia una chiara attenzione per la prossima kermesse che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024. Una democrazia sotto le piastre del defibrillatore, da rianimare perché languente sotto la sferza di virus sociali, di forze spirituali dalla presenza silente, e tuttavia diffusiva e virulenta.
CAPRI ESPIATORI Il venir meno della fiducia individuale nel proprio prossimo sembra ridurre le relazioni sociali a provider di servizi, a fornitori di utile per sé. La fiducia che manca porta a riconoscere le tante cose che non vanno nel mondo, ma il gioco dello scaricabarile, del gettare le responsabilità sugli altri sembra essere una delle cifre sintetiche di questa fuga dal mondo nel privato che tanto ammala la nostra società. In fondo c’è sempre un capro espiatorio da trovare le responsabilità sono sempre di altri, raro è l’emergere di qualcuno che si impegni, che vada contro corrente. Per una comunità la fiducia è condizione irrinunciabile per la convivenza sociale, un atteggiamento aperto alle sfide del futuro, antidoto necessario all’epidemia della paura.
FENOMENOLOGIA Il vescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a margine delle considerazioni condivise con la Commissione della pastorale sociale lombarda, presieduta dal vescovo di Vigevano mons. Maurizio Gervasoni, ha definito questa malattia sociale «epidemia della paura», per cui non si ha ancora un vaccino e che si manifesta come una considerazione svilente di sé e degli altri e si nutre di sospetti che isolano nel privato, di rabbia irrazionale che aggredisce, alimentata da circuiti comunicativi che risuonano del mainstream frutto del consenso arreso alle logiche di potere, si tratta di una sfiducia diffusa che paralizza e blocca, impedendo di prendere decisioni forti, anestetizzando la logica del dono, per cedere al consumo di og-getti che rassicura e che a sua volta consuma le vite.
NON IO Così la crescente disaffezione alla partecipazione democratica offre il fianco all’introduzione per vie laterali di forme che con la democrazia hanno poco a che fare, e questo con il tacito consenso di chi delega di fatto e non di diritto la responsabilità decisionale ad altri. L’arcivescovo di Milano, nel discorso di Sant’Ambrogio pronunciato la scorsa settimana ha fatto riferimento a questo timore di essere responsabili:
«La paura consiglia di starsene cauti nel proprio privato e lasciare agli altri di curarsi del bene comune, della vita della comunità, delle opere innumerevoli di solidarietà e cultura che caratterizzano i nostri ambienti. «Una mano la do volentieri, se posso, ma assumere la responsabilità non me la sento».
don Andrea Padovan