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«Spesso rimango a casa da solo, mi sento inadatto e mi chiedo come mai non sono riuscito a raggiungere i miei sogni e i miei obiettivi. Aspettavo di ricevere anche degli stimoli, ma così non è stato». Alessandro Rossi, 23 anni, una volta conseguito il diploma nell’indirizzo Servizi di promozione e accoglienza turistica dell’istituto Castoldi di Vigevano 4 anni fa, non è più andato avanti con gli studi e non è nemmeno riuscito ad addentrarsi nel mondo del lavoro.
Ho provato subito dopo aver conseguito la maturità a inviare qualche domanda e a rispondere a degli annunci lavorativi, ma non ho ricevuto risposte. Come se non bastasse, anche i miei genitori continuavano a rimproverarmi: vedendomi sempre in casa, ai loro occhi sembrava che non avessi voglia di mettermi in gioco e di dare una svolta alla mia vita.
NEET Ecco spiegato il motivo per il quale, secondo Rossi, l’espressione Neet, acronimo inglese che indica i giovani che non lavorano e non studiano, sia da considerarsi «ingiusta, perché presuppone che ci sia una volontà di rimanere con le mani in mano e di non voler fare nulla. E’ molto fuorviante, in quanto non tiene conto di molti aspetti interiori, che dovrebbero invece essere presi in considerazione. Tra questi il sentirsi inadeguato, non all’altezza e avere sempre di più la convinzione di aver deluso o comunque non aver rispettato le aspettative dei propri genitori. Più volte ho percepito questo peso, mi sentivo in colpa a non impiegare in modo costruttivo e produttivo le mie giornate».
DISAGI Rossi ha provato quindi a mettersi in gioco, ma spesso il non voler deludere nessuno rappresenta una grande forma di conflitto interiore. «Non ho mai avuto un buon rapporto con la scuola e lo studio, per questo non ho ritenuto opportuno intraprendere la carriera universitaria. Mi sono presentato in diversi locali di Vigevano, ma nessuno mi ha aperto la porta. Ho provato a cercare occupazione anche a Milano, ma la situazione non è cambiata. Le aziende a cui mi sono rivolto chiedevano sempre personale con esperienza, o comunque già formato». L’avere pochi amici su cui poter contare di certo non aiuta: «Se esco in compagnia, è solo durante il fine settimana. Ho pochi amici, per lo più ex compagni di classe, con i quali mi sono tenuto in contatto. Ho chiesto anche a loro di provare a darmi una mano, di fare passaparola, ma nessuno ha saputo indirizzarmi da nessuna parte. Anche il dover chiedere sempre ai miei genitori i soldi per uscire, rappresenta una forma di disagio, soprattutto se penso al fatto che diversi miei coetanei vivono per conto proprio e si sono costruiti la propria strada». Un futuro che al momento non offre particolari prospettive: «Posso fare qualche corso in futuro e continuare a mandare il mio curriculum in giro. Sperando nel mentre che i miei genitori possano anche sostenermi dal punto di vista emotivo. Questa è la cosa di cui ho maggior bisogno in questo momento».
Edoardo Varese