Storia di vita per imparare a dire grazie

Questo ricordo non vi consoli/ Quando si muore si muore si muore soli. Si conclude con questi versi una delle celebri poesie in musica del grande cantautore Fabrizio De Andrè che, con la delicatezza e al tempo stesso la schiettezza che lo contraddistinguono, dice la sua sull’esperienza più tragica del cammino dell’uomo, ossia la morte.
In altri tempi i più buonisti ed idealisti avrebbero potuto facilmente obiettare che, nella maggior parte dei casi, fisicamente qualcuno è sempre accanto a chi sta vivendo il passaggio definitivo del proprio cammino. Siano essi parenti oppure vicini di letto in una stanza di ospedale, raramente accade di salutare questa vita in completa solitudine. La stessa celebrazione esequiale è pensata per una comunità che abbraccia idealmente la persona defunta e i suoi famigliari per ricordare (più con i gesti, con gli abbracci, con le strette di mano che con le parole) “siamo con voi, fatevi forza”.

Oggi tutto questo è sconvolto e stravolto violentemente. La prudenza e la paura insieme alla frenesia di una situazione nazionale quasi sfuggita di mano obbliga a censurare ogni contatto umano eccessivamente “caloroso” e confina alla freddezza di un messaggio o alla brevità di una telefonata ogni espressione di umana vicinanza a chi sperimenta la separazione da un proprio caro (spesso nemmeno salutato al momento, concitato e teso, del ricovero ospedaliero).

Sembra allora che il poeta genovese avesse proprio ragione… quando si muore, si muore soli. Eppure c’è una parola più forte che non possiamo non far risuonare dentro e al di sopra di questo “isolamento forzato” ed è una parola che, in realtà, ne contiene tante e assume di volta in volta la forma dell’alleluia della Pasqua o del non abbiate paura dell’angelo del sepolcro per arrivare fino al grazie del pane spezzato. E’ la parola della fede che spalanca l’esperienza della morte all’aurore della vita nuova, che trasforma la croce (anche quell’apparente dell’abbandono, nella solitudine, della sofferenza) in annuncio di speranza; è il linguaggio che permette di trasformare i rimpianti in ricordi e i ricordi in occasione di gratitudine per quanto ricevuto dal Signore attraverso i fratelli che non sono più con noi. In questo esprimersi nuovo il dolore muto da grido si trasforma in inno e le morti, anche quelle più anonime, diventano volti e storie, storie che chiedono di essere raccontate per parlare di un Dio che ha scelto il buio (della notte come del cuore) per mostrare tutta la forza di una luce che non può mai essere spenta.

Cogliendo la proposta di Mons.Vescovo, i Parroci o membri delle comunità, sono invitati ad inviare i ricordi dei defunti in questi tempi di coronavirus, per superare l’anonimato che purtroppo le vigenti disposizioni costringono.
Le storie (non più lunghe di 20 righe correlate con foto) devono essere inviate alla mail di Pastorale Digitale redazione.joxv@gmail.com.

Le testimonianze

Piera Davalle

Giancarlo Marchetti

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