Il senso della Pasqua: «Perdiamoci e mettiamoci in discussione»

Trasfigurare la propria vita, in attesa della manifestazione di Cristo nella gloria. Per il cristiano che vive nella quotidianità della propria vita terrena è questo il senso della Resurrezione di Cristo. Completando la sua riflessione sulla Pasqua, nell’omelia del solenne pontificale vespertino di domenica il vescovo di Vigevano, monsignor Maurizio Gervasoni, ha indicato il senso dell’essere cristiani alla luce dello sconvolgente evento della Resurrezione.

TRASFIGURATI Trasfigurare la propria vita, cioè cambiarla, nell’attesa della manifestazione di Cristo nella gloria. È proprio questo il senso della “vita risorta”, è «l’atto di fede che nasce dalla Parola». Un cambiamento difficile. Il Vescovo lo ha sottolineato, chiedendo al Signore che «ci faccia capire con intensità» il senso del cambiamento che ci è richiesto. Perché il Signore «non ci promette, come il mondo di oggi, successo, felicità immediata, tranquillità, realizzazione». È necessario invertire la rotta, non possiamo pensare alla realtà in funzione nostra. «Dobbiamo mettere in discussione noi stessi – ha proseguito – perché se continuiamo a voler raggiungere noi stessi il risultato saranno l’inganno e la morte». Lo si capisce bene guardando la nostra quotidianità, se l’uomo vuole trovare la felicità deve operare un cambiamento interiore. La Pasqua propone all’uomo l’incontro con Cristo risorto, che cambia il senso della vita delle persone. «Il mistero che stiamo vivendo è profondo: chiede un atteggiamento interiore diverso da quello a cui siamo abituati. Non possiamo più ragionare per prestazioni da fare, dove risultiamo perdenti o vincenti. Non è così!». Il senso dell’incontro con Cristo risorto è che «dobbiamo perdere noi stessi». Ma come? C’è qualcosa che distingue Cristo risorto e l’uomo: l’uomo risorto con Cristo partecipa della gloria di Dio, ma non la vive pienamente, è in attesa della manifestazione di Cristo. E la manifestazione di Cristo è il momento futuro in cui anche l’uomo parteciperà della gloria, cioè dello stare vicino a Dio.

COME GESU’ L’attesa si compie, per il cristiano, nella Chiesa. È questo il compito della Chiesa, «un compito divino e tuttavia realizzato nella maniera umana, la nostra» ha aggiunto il Vescovo. Il compito della Chiesa è di aiutare l’uomo, nell’incontro con il Redentore, a trasformare il deserto in giardino. «La Chiesa – ha detto il Vescovo – dev’essere il giardino dell’umanità rinnovata in Cristo, nella sua fatica di vivere la conversione, il servizio, l’amore ai fratelli. Insomma, cercare le cose di lassù non quelle della terra». Praticamente, assumere il senso della vita del Risorto. Nella parte iniziale dell’omelia monsignor Gervasoni ha richiamato il filo che ha unito le riflessioni proposte nelle liturgie del triduo pasquale, incentrate sulla disponibilità di Cristo nel fare la volontà del Padre. «Il senso della nostra vita dev’essere il senso della vita del Risorto» ha detto il Vescovo, che ha ricordato come però non si tratti di una vita facile. Come Gesù, il cristiano deve imparare a “lasciar fare a Dio”. Come sul Golgota, «dove Gesù offre la sua vita al Padre»:

Gesù non ha voluto salvare la sua vita ma si è affidato all’Amore del Padre, ha compiuto un atto di fede nel Padre affinché sia lui, il Padre, a decidere quello che è bene per il Figlio e per l’Umanità.

DENTRO IL MISTERO Decidere quello che è bene e quello che è male. È forse il cuore del problema. Adamo ed Eva furono cacciati proprio perché avevano voluto mangiare del frutto proibito dell’albero del bene e del male. Hanno voluto sostituirsi a Dio e hanno trasformato il Giardino in un Deserto. Anche Gesù, nel Getsemani, ha fatto l’esperienza della tentazione di sottrarsi alla volontà di Dio. Ma ha risposto “sia fatta la Tua volontà”. Sostituirsi a Dio, voler cogliere il mistero di Dio. È l’eterna tentazione dell’uomo che torna e ritorna senza soluzione di continuità. «Non è possibile all’uomo cogliere direttamente il mistero di Dio. Non ci è dato conoscere il mistero di Dio se non attraverso Cristo, che è la Via». La strada della Salvezza passa attraverso l’affidamento alla volontà del Padre mediante Cristo, che è la Via. «Come Gesù muore affidando al Padre lo Spirito, anche noi dobbiamo fare allo stesso modo. Dobbiamo trasfigurare la nostra vita». Perdersi è un passaggio difficile per l’uomo e passa attraverso l’esperienza della morte, attraverso la quale capire il senso della vita del cristiano risorto con Cristo. «Perché questa è la realtà in cui noi per definizione siamo perdenti». Un apparente paradosso, dentro il quale però c’è il senso della felicità del cristiano che si è affidato al Padre.

Carlo Ramella

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