Disagio e violenza giovanile: «Educare all’isolamento non è possibile»

In seguito alla fine del lockdown sono stati segnalati, a Vigevano e in generale in provincia di Pavia, vandalismi, risse ed episodi violenti, spesso commessi da giovani e giovanissimi.
Ne parliamo con lo psicopedagogista Paolo Colli: docente, formatore, counsellor pedagogico, impegnato da anni nel lavoro con bambini, ragazzi e adulti, si occupa da sempre di educazione affettiva nella scuola, ed è membro del direttivo del Coordinamento volontariato Vigevano. I mesi di isolamento possono aver influito su questi comportamenti?

«Le condizioni di isolamento possono certo aver avuto un’influenza su questi comportamenti ai limiti della devianza. Anche se si parla tanto di social e di giovani che si giocano tutta la comunicazione attraverso i social, il rapporto con i coetanei rimane la base per un adeguato e ricco scambio tra giovani. I social non possono sostituire la vita, soprattutto di gruppo, dei ragazzi. Quindi il periodo di isolamento può certamente aver influito su queste manifestazioni violente che esprimono certo un disagio ancor più profondo tipico della condizione giovanile odierna».

Disagio che viene da lontano, ma che ha le sue radici nel rapporto educativo che società e adulti hanno con questi ragazzi

«Oggi come mai l’educazione appare “Frammentata”, incapace di costituire un continuum esistenziale. Il nostro mondo è a frammenti, complesso, e questo vale anche per gli adulti che, oltre ad avere compiti educativi, si trovano loro stessi in una società incomprensibile, veloce, con valori a loro volta frammentati. Gli adulti con compiti educativi devono approfondire il loro rapporto da una parte con i valori di riferimento e dall’altra con il loro specifico modo di “essere” nella società».

Disagio e violenza giovanile - orsacchiotto

C’è una componente di “rabbia sociale” in questi episodi?

«Bisogna intendersi sul significato di rabbia sociale. Nei giovani e giovanissimi il bisogno di trasgressione è in parte legittimo essendo un compito evolutivo tipico dell’età. Quasi che per diventare adulti si debba giocare il ruolo “duro” degli adulti”, diventare eccessivi, cattivi. Va poi considerata la provenienza sociale dei ragazzi in questione».

La chiusura forzata delle attività produttive e della scuola hanno lasciato alcuni giovani, soprattutto i più fragili in balia della profonda preoccupazione dei genitori e della mancanza di un polo educativo come la scuola in grado spesso di integrare le mancanze della famiglia

«Ecco allora quasi il sentirsi autorizzati a sfogare la propria rabbia in maniera irrazionale e violenta (che è comunque parte di un messaggio di angoscia lanciato agli adulti)».

Quali strategie si possono adottare per risolvere questo problema? Si tratta semplicemente di un problema di sicurezza o bisogna agire alla radice con i ragazzi?

«Il problema con i ragazzi ha sempre una radice educativa. Parlavo poc’anzi del numero considerevole di famiglie che hanno perso i punti di riferimento del lavoro e dell’occupazione, componenti fondamentali della identità di ogni persona. Quindi può essere che in molte famiglie si respiri un clima di incertezza e di forte preoccupazione per il futuro. Il clima si trasmette naturalmente ai ragazzi, che in genere hanno meno strumenti di autocontrollo degli adulti e che possono più facilmente lasciarsi andare a comportamenti inadeguati».

Disagio e violenza giovanile - scuola

Esistono strategie che si possono intraprendere per ridurre la solitudine tra i giovani, in caso dovessimo proseguire in futuro in altre “quarantene” o misure di distanziamento sociale?

«I bambini e i ragazzi in età evolutiva sono le persone che più hanno sofferto dell’isolamento forzato».

Togliere loro la possibilità di scambio di gruppo, l’ambiente della scuola, lo sport, le feste e gli incontri tra amici ha certamente avuto un effetto negativo

Il senso di solitudine acuito potrebbe avere conseguenze anche nel tempo soprattutto per i ragazzi più fragili. Pensare che l’educazione a distanza e i social siano sufficienti a controllare il senso di isolamento e di mancanza che i giovani provano è solo un’illusione. Noi siamo “animali sociali” che hanno bisogno dello scambio con il volto dell’altro, di scambi quasi fisici con gli altri, di giocarsi il proprio “IO” nel tu collettivo, quasi che la nostra identità si alimentasse nel rapporto con l’altro. Educare all’isolamento non è possibile, vanno immaginate altre modalità che, rispettando le regole delle autorità sanitarie mettano i giovani nelle condizioni di incontrarsi. A qualsiasi costo, anche a partire dalla scuola che deve immaginarsi non come un grande server che dispensa educazione a distanza, ma come un contenitore sicuro per le angosce dell’isolamento provate dai ragazzi. Farlo in presenza se possibile, riorganizzando gli spazi se necessario. E questo vale anche per i luoghi di aggregazione sportiva».

Davide Zardo

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