Liste d’attesa / Colpa delle troppe ricette?

Abbattere i tempi d’attesa. Le liste d’attesa troppo lunghe sono uno dei lasciti più duraturi della pandemia e il ministro della Salute Orazio Schillaci ha annunciato entro la prossima settimana un decreto che dovrebbe agire a più livelli per garantire ai cittadini l’accesso effettivo a esami, visite e terapie, cioè quel diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Il provvedimento dovrebbe riguardare il monitoraggio nazionale e indipendente degli ospedali, una maggiore attenzione alle prescrizioni da parte dei medici, la possibilità per le strutture pubbliche di accedere a prestazioni private.

LE MISURE Nel dettaglio ad Agenas dovrebbe essere affidato il controllo della situazione nelle diverse regioni e nelle diverse Aziende ospedaliere pubbliche e private in convenzione. L’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali già coordina le attività di monitoraggio di una cinquantina di prestazioni ed è un punto di riferimento riconosciuto in ambito sanitario, che ha svolto un ruolo di coordinamento anche durante l’emergenza Covid-19. Il secondo asse del decreto “Schillaci” dovrebbe riguardare l’appropriatezza prescrittiva: il Ministero stima di poter ridurre del 20% il numero delle prescrizioni fatte dai medici – tanto quelli di medicina generale, i più coinvolti, quanto gli specialisti – facendo a valle una sorta di “moral suasion”: a partire dalle caratteristiche socio-demografiche della coorte di pazienti, si punta a stimare il tipo e il numero di prescrizioni annue, che il professionista dovrebbe conoscere prima, per poi far scattare a monte un alert qualora dovessero essere superati i “limiti”.

LE REAZIONI Il tentativo è pure di ridurre il ricorso alla “medicina difensiva” – cioè le prescrizioni che il medico fa a fronte di pressioni che riceve dai pazienti per evitare conseguenze di natura economica, visto che i mmg sono pagati in base al numero di pazienti, cause in sede civile o penale, anche aggressioni – e dal ministero si garantisce che sarà rispettata la libertà di scelta, ma un tentativo precedente (il decreto “Lorenzin” del 2015) non ha sortito gli effetti auspicati e si è scontrato con la ferma opposizione dei dottori, che anche in questo caso hanno sottolineato la loro contrarietà. «Siamo di fronte non tanto all’appropriatezza prescrittiva – scrive in un comunicato Pina Onotri, segretario del Sindacato medici italiani – come viene sbandierato, bensì all’ulteriore tentativo di mettere tanti lacci e laccioli alla libera determinazione del medico di poter prescrivere gli esami in scienza e coscienza, si sta puntando alla riduzione tout court delle prestazioni mediche. E’ il modo peggiore di agire: si vuole trovare la soluzione delle liste di attesa tagliando i servizi e facendo pressioni improprie sui medici. Forse si vogliono abbattere le liste di attesa non curando più i cittadini?». Sempre lo Smi del resto lamenta come, nel momento in cui si pensa a limitare le prescrizioni dei medici, le si liberalizza in farmacia:

Mentre si esercita una forte pressione sui medici, si concede ai farmacisti di prescrivere analisi a carico del Ssn in assenza di una qualsiasi indicazione clinica da parte di un medico.

Per il sindacato Cimo-Fesmed invece «affrontare, in sanità, la questione tempi di attesa è un po’ come approcciare un paziente con una patologia multiorgano che necessita di terapie specifiche, ma che invece viene curato con placebo. Le cause le conosciamo tutti: la ridotta offerta sanitaria, la carenza di risorse umane, l’inappropriatezza delle prestazioni, l’approccio demagogico verso la libera professione del medico». Alla quale guarda il terzo asse del decreto, che pensa alla possibilità per le Aziende ospedaliere di acquistare prestazioni intramoenia (in libera professione) dai medici dipendenti, in modo da avere più slot per esami e visite, sul modello di quanto già avviene in Toscana ed Emilia Romagna.

LA SITUAZIONE A prescindere dalla bontà delle iniziative, resta la necessità di sparigliare: secondo Istat nel 2023 il 7.6% della popolazione ha rinunciato a prestazioni sanitarie, lo 0.6% in più rispetto al 2022. «Con 372mila persone in più – scrive l’Istituto nel rapporto Benessere equo e sostenibile in Italia – si raggiunge un contingente di circa 4.5 milioni di cittadini che hanno dovuto rinunciare a visite o accertamenti per problemi economici, di liste d’attesa o difficoltà di accesso. Tale incremento può attribuirsi a conseguenze dirette e indirette dello shock pandemico». Il fenomeno cresce all’aumentare dell’età, dall’1.3% per gli under13 all’11.1% tra i 55 e i 59 anni, per poi rallentare tra gli over75 (9.8%). «Tuttavia l’incremento tra il 2022 e il 2023 riguarda solo la popolazione adulta (18-64 anni), che passa dal 7.3% all’8.4%. Si confermano le ben note differenze di genere: la quota di rinuncia è pari a 9.0% tra le donne e a 6.2% tra gli uomini». A livello geografico il nord della penisola si mantiene sul livello del 2022 (7.1%), ma ben poche regioni «nel 2023 tornano a livelli più bassi del 2019», cioè a prima della pandemia (Abruzzo, Calabria, Basilicata, Valle d’Aosta, Toscana, la Lombardia passa da meno del 6% a oltre il 7.5%). Tra i motivi per cui si rinuncia dominante le liste d’attesa: il 4.5% della popolazione lo indica come motivo principale (nel 2019 era il 2.8%), il 4.2% riferisce motivi economici.

DISTANTI Un’indagine di Altroconsumo ha fotografato la medesima situazione. Su 1100 cittadini intervistati in 950 hanno incontrato problemi nel prenotare visite o esami (l’86.4%); oltre il 66% si è scontrato con attese troppo lunghe, in molti dei casi al di là dei tempi indicati in ricetta, ma molti anche con l’eccessiva distanza tra il luogo di residenza e la struttura ospedaliera. Tra le prestazioni più difficili da ottenere visite oculistiche, ecografie, risonanze, tac, gastroscopie. Quanto alla distanza, spiega Altroconsumo

questo accade perché i cosiddetti “ambiti territoriali di garanzia”, in cui i Cup possono prenotare le prestazioni, possono essere vasti. Seppur lecito, per molti è un disagio molto forte, se non un ostacolo alle cure. E viene anche disatteso il rispetto di quel “principio di prossimità e raggiungibilità” che viene citato dal Piano nazionale di governo delle liste d’attesa.

AGENDE CHIUSE Da ultimo si segnala un problema di trasparenza. L’indagine di Altroconsumo – e l’esperienza di tanti cittadini – rivela l’impossibilità di prenotare (il 27.7% del campione) perché l’agenda era chiusa, una pratica illegale che viola la Costituzione in quanto pone una forte barriera all’accesso alla sanità e dunque alla tutela del diritto alla salute. Inoltre il Piano nazionale di governo delle liste d’attesa prevede che i cittadini, tramite Cup online, possano consultare in tempo reale l’attesa relativa a visite e esami erogati in regime istituzionale o in libera professione, un impegno che le regioni disattendono. Per quanto riguarda la Lombardia, il sito web della Regione rimanda al portale “Prenotasalute” o ai siti delle Ats, i quali a loro volta rimandano al medesimo portale o all’app “Salutile”: accedendo a entrambe è possibile prenotare ma – senza ricetta – è impossibile consultare le liste d’attesa.

Giuseppe Del Signore

Le ultime

Parona, Bovo e Soffritti a confronto puntano sull’ambiente

Saranno due le liste che puntano alla carica di...

Cassano, portiere con legami nobili

Ha iniziato a giocare a Vigevano, poi ha vissuto...

L’ex coop diventerà sede della Protezione civile

L'ex Coop di Pieve del Cairo diventerà la nuova...

Un Anno Santo all’insegna di una speranza che non delude

«Spes non confundit», «la speranza non delude»: è il...

Login

spot_img

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui